domenica 2 dicembre 2012

La prestigiosa cerca in nome di quella miscela chiamata Margarita



 Una storia di gentiluomini e osti cani.
 
Questa storia ha inizio tre mesi fa, era una torrida sera di luglio, io ed altri tre moschettieri cenammo gaglioffi al fidato ristorante messicano. Una cena gradevole, con buoni spunti di conversazione e cibo all’altezza della frangente.

Parlando del più e del meno uscì fuori che in molti film e telefilm d’oltre oceano si fa compiaciuto uso di Margarita a profusione.  Cotale miscela si ottiene mescolando il succo dell’esotico frutto verde noto come lime, all’altrettanto esotico liquore messicano chiamato Tequila, il tutto condito da una spruzzata di Triple Sec. Il tutto va versato in un bicchiere contornato di sale, per dare un retrogusto gradevole. Vi sono molte versione di cotale bevanda, alcune, chiamate frozen, prevedono anche l'aggiunta di ghiaccio tritato, ma io la preferisco liscia.



Sia inteso, io e i messeri in mia compagnia non ci siamo mai fatti risparmiare nulla in questo ambito, eppure accadde che i biscazzieri al mio tavolo non avevano avuto mai l’occasione di saggiare cotale bevanda. Mentre il vostro Conte, che in questo ha ormai un’esperienza quindicinale, rimembrava di averla saggiata anni e anni fa, quando le bettole di classe era più profuse nella nostra greve città.

Infatti dovete sapere, cari amici che leggete queste pietose righe, che anno dopo anno i posti dove far gazzara stanno diminuendo a vista d’occhio in questo luogo d’amarezza. Certo sì, qualcuno potrebbe obiettare a questa mi affermazione, ma i fatti sono questi: delle tante locande che il Conte e i suoi compagni d’ambasce frequentavano, rimane poco e niente, se non polvere e lagrime.

Ma lasciamo perdere questa triste digressione, e torniamo al racconto principale. Il vostro Conte ammise di aver saggiato la bevanda in questione, e ricordava che non era mala al gusto, ma che di certo non rientrava nelle sue elette. In quel periodo, per esempio, il vostro narratore preferia il nettare creato dall’illustre signor Ernest Hemingway: il sugo dissetante meglio noto come Mojito.

Comunque la questione era un’altra e ben più grave: bisognava porre rimedio alla mancanza dei miei gentili commensali, bisognava saggiare quella bevanda dal nome simile alla nostra antica regina alla quale era stata dedicata la prima pizza.
Mi vien subito da confessare, alla ragion veduta dei fatti da lì in poi accaduti, che non fummo molto scaltri nello svolgere la nostra idea. Trovandoci in loco in un ristorante messicano, forse, anzi, sicuramente, dato che in giorni successivi ne ebbimo la controriprova, tastare la bevanda  in loco.

Così non fu. Decidemmo di inoltrarci per il centro, per fare due passi, smaltire i peperoni e la cipolla che condivano le nostre fajitas, e nel frattempo dedicarci alla cerca di una bettola che potesse replicare il liquore oggetto della serata.

Dopo qualche giro a vuoto, fui io, sciaguratamente, a suggerire un loco dove sicuramente avremmo trovato la bevanda in questione. Non potevo garantire sulla sua bontà. E questo fu un grosso problema.
Arrivammo al bugigattolo constatando con spergiuro dispiacere che i miseri posti all’aperto erano ormai occupati, cosa che ci avrebbe favorito in quel che accadde dopo, ma malauguratamente le faccende non fanno altro che complicarsi ulteriormente quando si han problemi di questa sorta. Così decidemmo di soggiornare all’interno del locale, che sciaguratamente non aveva l’aria da rinfresco.
Appiccosi e sudanti, ordinammo la bevanda. Per non far la figura dei villani, se ne ordinò una a testa, tre per la precisione, perché uno dei moschettieri si tirò indietro all’ultimo. E visti i fatti che ora vi racconterò, non si potè certo biasimare.

Come si confà in queste bettole da briganti, pagammo in anticipo la nostra consumazione, nel momento in cui ci fu versata al tavolo. Eravamo infine pronti a degustare insieme l’argomento della serata. Uno… due… tre… giù nel gargarozzo.
Credetemi ora, miei cari uditori, che in vita mia ebbi la sfortuna di bere molte cose non all’altezza del mio palato, e avendo alle spalle una vita di mare, conosco persino troppo bene, l’odore acre dell’acqua dell’oceano. Ecco, miei cari uditori, quella bevanda, che non si poteva certo definire Margarita, assomigliava molto all’acqua salata del reame di Nettuno. Un orrore al palato. Un affronto per le pupille. Un disgusto morale e sensitivo.

Definire imbevibile quella miscela, è cosa buona e giusta, e forse fin troppo cortese nei suoi confronti. E badate bene che non fu solo un mio problema, ci trovammo infatti tutti concordi sull’impossibilità di svuotare i bicchieri nel modo solito a noi, ovvero traferendo il contenuto dello boccale, nei nostri gargarozzi.

Nossignori, quella bevanda non era bevibile. Si rischiava di rovinare definitivamente la cena così tanto apprezzata con un rigurgito di bile non avvezzo alle nostre figure così dabbene.
Ci trovammo così in una situazione ben più che sgradevole. Il boccale non si poteva finire e oltre all’imbarazzo di lasciarlo pieno, vi era un dilemma ancora più grosso. Avendo solo io bevuto in passato tale miscela – e sì sa, che il tempo passa e mitiga molte cose – , ed essendo, invece, i miei compari al primo assaggio, non si poteva stabilire se era un problema intrinseco nella bevanda, o se nella mala realizzazione da parte dell’oste malfidato. Ora che vi narro il racconto, ben so che fu colpa dell’oste cane! Ma all’epoca non si potea saper.

Ci sembrò pertanto scortese e villano andare a reclamare per l’oscenità propostaci. Ma allo stesso tempo non si poteva bere proprio. Fossimo stati fuori, avremmo sicuramente versato nelle fioriere quell’intruglio, andandocene stizziti nell’aver sperperato in cotale modo i nostri danari, ed esserci tenuti, nonostante questo l’arsura in la gola.

Ma stando noi all’interno della bettola, fummo costretti solo ad andarcene con sdegno e un pizzico di disagio, lasciando lì i nostri bicchieri, pieni della brodaglia salata oltre il livello concepibile.

Ripiegammo su un misero distributore di bevande, dove in modo poco alcolico, e quindi inglorioso, dissetammo le nostre faringi. Mesti e sconsolati ci avviammo verso la via di casa.
Ma in noi era nato un moto d’orgoglio, e una curiosità scientifica che solo i gentiluomini pari al nostro calibro potranno pienamente comprendere: vi era da capire se effettivamente la colpa della nostra serata di ambasce, vergogna e disdegno era dovuta al gusto intrinseco della bevanda, o se era solo colpa di un oste cane.

La notte si concluse con tale dilemma. Dilemma che da quel giorno decidemmo di destricare con attenzione scientifica e metodica. Partì una sorta di ricerca mistica, come fecero i cavalieri col sacro calice. Bisognava verificare quale delle due versioni aveva afflitto la nostra serata. Bisogna verificare, che il nome della bevanda non fosse stato infamato da una mala realizzazione da parte di qualcuno che non sapeva fare lo lavoro suo.
Anche perché ci domandammo: ma se questa bevanda è così apprezzata, possibile che abbia questo sapore come sgradevole?
Che il volgo spesso porti all’esaltazione cose del tutto disdicevoli è cosa nota, ma la nostra allegra compagnia tiene molto in considerazione la colta cricca di degustatori d’alcolici e mal ci si configurava che essa potea sbagliare.

Così, come vi dissi, da quel giorno partì la nostra ricerca. Provammo la bevanda in nuovi locali, sperando che questa non si dimostrasse greve come la prima assaggiata.
Ed effettivamente il Conte non sbagliò, la bevanda era buona, anzi molto gradevole. Gradevole al punto da scalzare, in questo periodo, la preferenza del gustoso Mojito nelle mie scelte.
La prova si è estesa ormai in molti locali della zona, e con somma soddisfazione, ammetto di essere riuscito a replicare tale bevanda in casa, con buoni risultati, anche se perfezionabili.

Ma ovviamente la nostra ricerca scientifica continua, e persevereremo nel verificare dove viene realizzato il Margarita migliore. È una cerca da gentiluomini.

E così, almeno fino a oggi, si conclude questa storia.

Ma infine voglio rivolgere un appello all’oste cane che in cattive acque, acque salate, molto salate, avea inondato il nome e la nomea di quella bevanda, a me ora così cara.
Vergogna! Vergogna! Vergogna! Che la forca ti possa essere amica! Che non esiste peggior crimine, di servire una bevanda sgradevole a un’allegra compagnia di gentiluomini!



Questo racconto è dedicato al prode compagno d'ambasce Tommaso, uno dei due moschettieri incappato col Conte nella insana serata, sostenitore della stesura di tale pezzo, e che lo giuorno del primo di dicembre, ha compiuto gli anni. A cento di questi anni vecchio mio! Che possano tutti essere bagnati all'insegna dell'alcol di qualità e della gazzara di classe.

1 commento:

  1. La ringrazio Conte per la dedica !!! Obrigado :)
    Cmq la ricerca del Margarita perfetto continua !!!

    Mommy

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